ANNO 14 n° 119
Peperino&Co. Macchina di santa Rosa tra Expo e futuro museo
>>>>>> di Andrea Bentivegna <<<<<<
25/04/2015 - 00:01

di Andrea Bentivegna

VITERBO - Avete presente la sera del tre settembre, in quei concitati attimi che precedono l’arrivo della Macchina, quando la strada piomba nell’oscurità e si sente il suono della banda avvicinarsi? Non di rado, a questo punto, la folla inizia ad inveire contro qualcuno colpevole di aver lasciato accesa la luce nel proprio appartamento o negozio. Lo spettacolo, del resto, non sarebbe lo stesso se attorno al ''campanile che cammina'' non ci fosse lo scenario a cui siamo abituati. In effetti a ben vedere non si può scindere la Macchina da Viterbo allo stesso modo in cui non si può prescindere dai facchini che le danno vita ogni anno.

Proprio in queste ore ''Fiore del Cielo'' è stata assemblata nei giardini di Eataly all’Expo di Milano e ne abbiamo avuto prova: certamente siamo di fronte ad un’opportunità irripetibile grazie a cui faremo conoscere la festa e al contempo la nostra città, eppure osservandola svettare tra i moderni padiglioni brianzoli, c’è qualcosa che non torna. Non che l’effetto non sia suggestivo, tutt’altro, senza dubbio sarà una ''scultura'' che non mancherà di suscitare curiosità nei visitatori ma non si tratta più della Macchina almeno come noi viterbesi la intendiamo. Chiariamo subito che non si vuole mettere qui in discussione la scelta di essere presenti all’esposizione, né criticarne l’allestimento, piuttosto riflettere sul valore, per così dire, urbano della Macchina: tra le strade di Viterbo, dialogando con la città e non solo attraversandola, l’opera prende vita riverberando la sua energia sugli edifici circostanti, non più un oggetto bensì un vero e proprio campanile che cammina.

Se, da una parte, l’Expo ci offre dunque l’occasione di osservare la macchina in un contesto inusuale e suggestivo, dall’altra ci pone di fronte ad un interrogativo: siamo certi che conservare queste sculture in un museo, in un luogo asettico, chiuso come lo si è immaginato fino ad oggi, sia la soluzione migliore? Verrebbe da rispondere di no. Ma a ben vedere, l’allestimento milanese ci suggerisce anche un possibile spunto, una nuova via, per creare in pieno centro qualcosa di unico, un museo che nessun’altra città possiede e che abbiamo sotto i nostri occhi, già perfetto e ultimato: Viterbo stessa.

Se invece di costruire una struttura ex novo, costosa e complessa per via delle altezze, ci limitassimo a utilizzare alcune piazze del nostro splendido centro storico?

Andiamo con ordine. Per prima cosa si tratta utilizzare delle piazze per così dire secondarie, non certo le più frequentate, nelle quali però il contesto architettonico esalterebbe ugualmente le Macchine e la loro mole, ad esempio piazza Concetti, di fronte alla chiesa della Pace da sempre legata al Sodalizio, piazza San Simeone o anche il piccolo spazio all’interno dell’Ospedale Vecchio.

L’Expo dimostra infatti che, con piccoli accorgimenti tecnici, è possibile ancorare saldamente la struttura ad una base che ne garantisca la stabilita anche per svariati mesi, e le macchine stesse, almeno le più recenti, sono in grado di resistere tranquillamente alle intemperie; Inoltre collocandole nel cuore del nostro centro contribuiremo a richiamare all’interno delle mura visitatori e curiosi e l’eco del borgo medioevale in cui si innalzano prodigiose sculture luminose farebbe ben presto il giro del mondo.

L’esposizione delle macchine potrebbe avvenire nei mesi estivi, da giugno a settembre, quando si ricostruirebbero i vari modelli alternandoli estate dopo estate. I viterbesi godrebbero dell’opportunità di rivedere le vecchie Macchine, i visitatori, anche quelli non presenti la sera del 3 settembre, avrebbero un’immagine reale della straordinarietà della festa, mentre la città e il suo centro rinascerebbero attraverso nuovi spazi impreziositi da queste opere che rappresentano l’eccellenza dell’arte viterbese, l’unica capace di dialogare con la nostra storia medioevale.

Per quanto riguarda i restanti nove mesi, invece, si potrebbe creare un museo dove custodire le macchine smontate, ben più facile e meno costoso da realizzare, dove comunque si ammirerebbero da vicino le varie parti esperienza che, con un sapiente allestimento, potrebbe diventare altrettanto suggestiva e che potrebbe essere completata dall’esposizione dei vecchi bozzetti e del corposo materiale oggi disperso tra varie collezioni.

Mi rendo conto che sia una proposta ardita ma, a pensarci bene, assai meno dell’idea di costruire una torre di trenta metri e portarla in giro per la città a spalla, e potrebbe essere, al contrario, un’opportunità inedita per Viterbo.





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